Totem e tribù – il lato oscuro delle brand community – Episodio II
Far luce su quelli che diversi studiosi chiamano il “lato oscuro delle brand community” vuol dire analizzare due aspetti dello stesso fenomeno:
- il ruolo attivo che i seguaci di un marchio assumono nella costruzione della brand identity nel momento in cui arrivano a stravolgere i brand values, o addirittura a sostituirli e ad opporsi ad essi (la tribù che si ribella al Totem).
- il conflitto tra commmunity rivali che si riflette nell’adozione di comportamenti oppositivi da parte dei membri/competitor (trash talk e shadeunfrede), tematica affrontata da diversi studi passati, tra cui un’accurata ricerca sociologica americana (le tribù che si scontrano).
In riferimento al primo punto, Bernard Cova, docente di marketing all’Euromed di Marsiglia, pone l’accento su come il ruolo attivo dei membri di una brand community nella produzione di valori e servizi determini un notevole abbasamento dei costi di ricerca. Tuttavia, lo sforzo pare non venga adeguatamente ricompensato. La fidelizzazione dei membri passa unicamente attraverso azioni simboliche basate su condivisione di informazioni, donazione di gadget e premium price. L’assenza di reali vantaggi per i membri della brand community, spesso finisce per generare una percezione di sfruttamento.
Ciò alimenterebbe l’insorgenza di alcuni fenomeni. Pensate alle tribù saccheggiatrici di Star Trek ed Harry Potter, attive nella diffusione di episodi apocrifi e racconti non originali; ai diversi episodi di hijacking come nel caso della birra Pabst, assurta dai suoi membri a simbolo anti-global e antibush; o ancora al boom del couchsurfing, il sistema di ospitalità gratuita basato sul meccanismo dello scambio casa che bypassa il ruolo delle agenzie instaurando un nuovo modello di turismo.
In relazione al secondo aspetto, cercherò di sintetizzare i punti salienti di un interessante studio condotto da due ricercatori americani, Thomas Hickman e James Ward, intitolato “The Dark Side of Brand Community: Inter-Group Stereotyping, Trash Talk, and Schadenfreude“. La ricerca segue il filone di studi passati che già avevano messo in luce il concetto di oppositional brand loyalty, ossia di come i membri di una community tendano a vedere se stessi non solo in termini di “chi sono” ma anche di “chi non sono”, generando un senso del “noi contro loro”. Condotta nel 2008, ma attualissima per la validità dei risultati cui approda, la ricerca analizza la stretta relazione esistente tra il senso di appartenenza e fedeltà al brand da parte dei membri di una community e la stereotipizzazione negativa adottata nei confronti dei sostenitori di community antagoniste. La rivalità si esprimerebbe attraverso azioni di trash talk e shadeunfrede.
Per trash talk si intende una comunicazione negativa nei confronti di un brand rivale, innescata non da un’esperienza passata insoddisfacente con il brand (come avviene nel negative word of mouth), bensì da un senso di rivalità tra community.
Con il termine tedesco shadeunfrede, ci si riferisce in questo contesto alla sensazione di piacere provata in risposta alle sventure di membri appartenenti a community rivali.
Analizzando il comportamento di due coppie di brand community opposte (utilizzatori di Mac vs. Pc e due footbal fan club universitari), lo studio arriva a confermare le ipotesi di partenza, ovvero che:
- coloro che nutrono un maggiore senso di appartenenza alla community, tenderanno a sviluppare una brand image più positiva, considerando i propri membri più competenti e caldi rispetto a quelli del brand rivale (è noto come gli utenti Mac tendano a considerarsi più creativi rispetto agli utenti Pc).
- chi ha una visione più pregiudiziale della propria brand image rispetto a quella rivale, sarà maggiormente propenso al trash talk.
- i membri più propensi al trash talk intra-gruppo nei confronti del brand rivale, adotteranno azioni di negative word of mouth rivolgendosi anche a membri esterni alla propria community.
- chi sperimenta un maggiore livello di trash talk, sperimenta anche un maggiore livello di shaudenfrede.
Alla luce di quanto detto, si può sostenere che una valida strategia di community building debba essere orientata a garantire vantaggi concreti per i propri membri in modo da rafforzare il senso di loyalty verso il brand. Conseguentemente, un senso di appartenenza maggiore verso la brand community porterà i suoi membri a sviluppare un’immagine del brand più positiva e si associerà con maggiore probabilità ad azioni tese a indebolire quella dei propri competitor.