http://www.robertonuccio.it Mon, 30 Jul 2018 20:58:33 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.5.1 Gamification / Best practice – Capitolo 2 http://www.robertonuccio.it/2014/gamification-best-practice-capitolo-2/ http://www.robertonuccio.it/2014/gamification-best-practice-capitolo-2/#comments Sat, 26 Jul 2014 14:28:15 +0000 Rob http://www.robertonuccio.it/?p=2694 Articoli correlati:
  1. Gamification / Best practice – Capitolo 1
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Gamification - Cpt. 2

Quali sono gli elementi chiavi da da prendere in considerazione per implementare un’esperienza di gamification particolarmente efficace?

Nel post precedente, abbiamo analizzato 10 best practice  per un sistema di learning gamificato. Proseguendo con quanto evidenziato da Karl Kapp in un secondo post sul tema, a seguire vengono passati in rassegna altri 8 focal point di cui tener conto per rendere un sistema di (e-)learning più engaging e intrigante.

 

Elemento 1: Mistero

Il mistero esiste quando c’è un gap tra informazioni conosciute e sconosciute, e le persone che ne sono consapevoli, realizzano che le informazioni per colmare il gap esistono, ma devono trovarle. In sostanza, il mistero è l’elemento “cosa accade e perché”. Per esempio, il non conoscere il luogo in cui è nascosta una chiave che apre una porta, piuttosto che la policy di sicurezza di un’azienda.

Il mistero stimola la curiosità nell’apprendista e può motivarlo a riempire il gap e a individuare le discrepanze nelle informazioni. Quando si prende in prestito quest’elemento dai giochi, non svelare ai learner ogni cosa: lascia che siano loro a colmare i gap. Fai sapere loro che l’informazione esiste ma devono cercarla. Pensa a titoli come “Il mistero del leader inefficace”. Usa il mistero per attirarli e incoraggiali a esplorare il contenuto da prospettive diverse.

Elemento 2: Azione

I giochi ben fatti iniziano con l’azione. Già dall’inizio il giocatore deve fare qualcosa. Cercare un rifugio, trovare una mappa o iniziare a collezionare pezzi di un puzzle. Raramente in un ambiente di gioco il giocatore è forzato a leggere lunghe liste di obiettivi, imparare termini e comprendere le regole prima di fare il primo step. Molti giochi iniziano con livelli tutorial che ingaggiano il giocatore immediatamente.

Quando progetti un sistema di learning, segui lo stesso format. Non iniziare con una lista di obiettivi; inizia facendo in modo che i giocatori prendano una decisione, muovendosi dal punto A al punto B o individuando un piano di azione. Coinvolgi il giocatore immediatamente in un processo di apprendimento e non lasciare che leggano il contenuto per le prime dieci schermate. L’azione, l’interattività coinvolge i learner.

Elemento 3: Sfida

Agli esseri umani piace vincere le sfide. É nel nostro DNA. I progettisti di giochi sfruttano questa condizione sfidando i giocatori ad ogni occasione, dall’inizio del gioco sino alla fine. I moduli di e-learning bisogna che inizino con delle sfide. Per troppo tempo hanno viziato i learner con obiettivi semplici, istruzioni step by step e semplici domande a risposta multipla. Prova ad agire in modo diverso.

Inizia il learning con una sfida: qualcosa di difficile, che richieda un pensiero profondo e che non possa essere superato semplicemente tirando a indovinare. Presenta uno scenario complicato. Per esempio, apri il modulo di e-learning dicendo ai learner che stanno parlando con un cliente, quando all’improvviso, un loro collega entra nel loro ufficio e accusa il vice presidente di truffa. In questo modo, il learner  viene chiamato a prendere una decisione.

Attenzione però: è bene ricordare che una componente di successo e di longevità di un gioco risiede nella capacità di saper individuare il giusto equilibrio tra livello di difficoltà e giocabilità. Una difficoltà eccessiva può difatti generare un senso di frustrazione nel player, di contro, una semplificazione estrema del gameplay, rischia di rendere il gioco noioso.

Elemento 4: Rischio

In un gioco, un player può “perdere la vita”, dover ricominciare da capo o perdere tutte le monete d‘oro che aveva collezionato, a causa di una mossa sbagliata. Il giocatore deve rischiare qualcosa quando compie un’azione o prende una decisione. Al contrario, molti sistemi di learning non prevedono nessun meccanismo di “accettazione del rischio”, risultando pertanto noiosi. Quando le persone sentono che qualcosa è a rischio, prestano più attenzione, focalizzano la loro energia e sono maggiormente coinvolte nello svolgimento del task.

Imposta una batteria di domande in cui un learner deve rispondere correttamente a 5 domande. Se ne sbaglia una, dovrà rispondere ad altre 5 domande. Se risponde correttamente a tutte e 5, avrà raggiunto l’obiettivo.

Si può chiedere all’apprendista di iniziare da capo se ha preso una decisione sbagliata? Ci può essere un limite massimo nel numero di tentativi per concludere un task con successo? Pensa a tutti i modi in cui i learner possono esser messi in una condizione di “rischio”. Il learner potrebbe essere licenziato in uno scenario di learning? Si tratta di un rischio “sicuro” simile a quello di un videogioco, di perdere, ad esempio, una chance, smarrire un oggetto speciale o dover ripercorrere un terreno già battuto. Sono tutti modi per mettere il giocatore in una condizione di rischio e che possono essere incorporati nei moduli di learning.

Elemento 5: Incertezza del risultato

Strettamente legata al concetto di rischio è la condizione in cui si può metter il learner di non poter (sempre e con certezza) prevedere il risultato. Quando giochiamo, non possiamo sapere in anticipo il risultato. Lo farai al prossimo livello? Puoi trovare tutti i gioieli nascosti? Puoi risolvere il mistero? O perderai tutto e dovrai iniziare il livello da capo?

In un modulo learning, il risulato è più prevedibile. Passerò tra varie schermate, incontrerò batterie di domande a risposta multipla, otterrò l’85% di risposte corrette al quiz e supererò il corso. Prevedibile.

Piuttosto, aggiungi una chance. Fai in modo che il learner possa scommettere sulla sicurezza di una risposta o dagli un’opportunità del 50/50 di ottenere una domanda facile o difficile. L’incertezza aggiunge suspense, intrigo e focalizza l’attenzione del learner sul compito da svolgere.

Elemento 6: Opportunità della padronanza

I giochi consentono al giocatore di dimostrare la propria padronanza del gioco e, ancor più importante, a se stessi. I giocatori superano un livello, mostrano la propria bravura nel risolvere un puzzle o dimostrano quanto conoscono bene il gioco collezionando tutti i tesori nascosti, segni visibili di padronanza del gioco. In molti sistemi di learning, l’unica possibilità di mostrare qualsiasi maestria è rispondere correttamente alle domande alla fine di un modulo.

Alle persone piace provare un senso di padronanza, sapere che conoscono i contenuti. Dà loro la chance di mettere in pratica i contenuti appresi più recenti, poni domande in modi diversi e fai in modo che possano esprimere le conoscenze acquisite. Poni loro problemi difficili, una volta che ne risolvono uno, assegna un reward visibile come un badge e falli passare al prossimo problema, aumentandone la difficoltà, sino a quello del livello “finale”.
Quest’ultimo dovrà essere un problema quasi impossibile da risolvere, ma dato che i learner avranno dimostrato la propria padronanza del gioco durante l’intero percorso, dovrebbero essere in grado di risolverlo e di padroneggiare il contenuto. Anche se sbagliano all’ultima domanda, hanno ancora visibilità, segni tangibili della proprie skills, attraverso i badge acquisiti.

Elemento 7: Segni visibili del progresso

Le gemme ti dimostrano cosa stai facendo. Giocando a Pac Man, sai quanto sei andato avanti nel gioco, osservando quanti punti sono rimasti sullo schermo. Attraverso i moduli, dà ai learner la possibilità di rendere visibili i segni del progresso nell’acquisizione di contenuti. Attraverso l’assegnazione di badge, il passaggio ad un livello successivo o perfino un cambiamento di look del player’character quando raggiunge un obiettivo. Fornisci una prova chiara del progresso compiuto. Non mostrare report dei progressi fatti prima della fine. Includili spesso nelle istruzioni.

I giochi forniscono progress bar, livelli e monete da collezionare, a indicare quanto il giocatore è prossimo alla fine del gioco. Puoi perfino mostrare un character non giocante e fornire uno status report al giocatore.

Elemento 8: Contenuto emozionale

In qualche modo, negli anni recenti si è tentato di separare i contenuti istituzionali dai contesti emotivi. Si sono create sterili “do” e “not to do” list.
Si parte dl presupposto che le persone prendano decisioni nell’aderire a una certa policy basandosi su algoritmi razionali e non emozioni umane. I moduli di apprendimento sono stati resi asettici e rimpiazzati da policy, terminologie e modelli.

I giochi fanno esattamente l’opposto. Nutrono il giocatore con una vasta gamma di emozioni che vanno dalla frustrazione all’euforia, dalla tristezza alla rabbia alla felicità. Tirano fuori il lato umano dell’esperienza ludica. Più il sistema di apprendimento si lega a forti emozioni, più facile sarà ricordare ciò che si è appreso.

 

Probabilmente è proprio quest’ultimo fattore a giocare un ruolo cruciale nella realizzazione di un sistema di e-learning efficace e funzionale, basandosi su logiche di gamification.

Cosa ne pensi? Quali componenti di gamification applicheresti ad un sistema di learning per renderlo più engaging? Dì la tua nei commenti :) .

 

 

 

 

 

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Gamification - Cpt. 1

Learning is experience, everything else is just information. [A. Einstein]

Parlare di “Gamification“, presuppone per certi versi il riconoscimento del ruolo chiave che ha il gioco come fondamento di ogni cultura, come osservava Johan Huizinga nel suo libro “Homo Ludens”.

Il punto forza della gamification è difatti “la capacità di stimolare gli istinti umani, con lo scopo di creare o appagare desideri e bisogni umani. Un prodotto gamificato fornisce obiettivi da raggiungere, livelli in cui progredire, competere con gli altri utenti, condividere i propri successi e guadagnare ricompense.” [Wikipedia]

Essa può essere pertanto definita come “l’applicazione di logiche del game design a contesti non ludici, per aumentarne l’appeal e incrementare l’engagement.” I potenziali vantaggi che l’implementazione di una corretta logica di gamification porta con sè sono significativi: incremento di lead generation, user acquisition, brand loyalty, brand affinity.

Non è un caso se la lista dei brands che abbracciano la gamification annovera nomi quali: Foursquare, Samsung, Starbucks, Microsoft, Kraft, T- Mobile, Xbox live, Linkedin, Sales force, Ebay..etc..

A tale proposito, Gartner ha predetto che “entro la fine del 2014, oltre il 70% delle 2000 aziende più gradi del mondo, avranno adottato almeno un’applicazione gamificata”. Al contempo, evidenzia che “l’80% delle attuali game application aziendali, falliranno nel raggiungimento dei loro obiettivi, principalmente per ragioni legate allo scarso design.”

Ma quali sono dunque le componenti chiavi per l’implementazione di una gamification efficace? Karl Kapp, professore di “instructional technology” alla Bloomsburg University, autore dei due bestseller “The Gamification of Learning and Instruction” e “The Gamification of Learning and Instruction Fieldbook: Ideas into Practice.” elenca e descrive 10 best practice (più 1 bonus):

 

1. Identifica i criteri di successo

Prima di iniziare a gamificare eventi di learning, bisogna avere chiara consapevolezza di quali sono i KPI da misurare. L’obbiettivo è raggiungere il 100% della partecipazione? Oppure avere dei risultati di business misurabili? Il punteggio di un test? Tali criteri potranno anche essere ridefiniti nel corso del tempo ma è opportuno delinearli si dall’inizio per determinare se gli obiettivi siano stati o meno raggiunti.

2. Considera seriamente delle alternative

Molto spesso accade che soluzioni semplici ed efficaci applicabili a contesti di learning vengano messe da parte per adottare logiche differenti e modaiole. La gamification andrebbe utilizzata come soluzione di learning quando ha effettivamente senso e risponde in maniera efficace ai bisogni degli utenti finali.

3. Crea un legame con i business needs

La gamification non va vista come una soluzione a supporto di contenuti senza significato per l’azienda o gli individui che ne fanno parte. Piuttosto, essa deve essere intrinsecamente legata agli obiettivi di businees.

4. Crea una storia / un contesto

Un modo particolarmente potente per motivare le persone e influenzarne il comportamento, è inserire il significato delle loro azioni e idee all’interno di un contesto appropriato. Spiega ai learners quali sono i vantaggi del guadagnare punti, scalare livelli, ottenere badge, chi devono salvare e/o perché devono andare alla ricerca di un “tesoro”.

5. Utilizza i dati per migliorare l’esperienza di learning

Ci sono due meccanismi validi ed efficaci che una buona gamification dovrebbe adottare: i recuperi distanziati e le pratiche di recupero.

Le pratiche di recupero consistono nel far sì che i learner richiamino attivamente delle informazioni, piuttosto che limitarsi semplicemente a ri-leggerle o ri-ascoltarle. Essa può migliorare le performance del 10 – 20%. Un’applicazione valida di tale meccanismo è il classico quiz sui contenuti di formazione.

I recuperi distanziati consistono nel fornire quiz / corsi di learning distanziati nel tempo. La ricerca ha dimostrato che maggiore è la distanza tra gli eventi di recupero, maggiori sono i potenziali benefici della ritenzione (24 ore sarebbe il gap temporale ottimale). Il recupero distanziato aiuta i learner a memorizzare le informazioni nel tempo, evitando alcune problematiche note nei sistemi di learning, come la fatica dell’apprendimento one shot e l’interferenza con apprendimenti precedenti.

6. Rendi il punteggio e la vittoria trasparenti

Le logiche di accumulo punti devono essere semplici e immediatamente comprensibili. É bene evitare l’uso di algoritmi o formule complicate. I learner devono poter collegare direttamente le loro azioni ai punteggi in modo da sapere esattamente e in qualsiasi momento cosa fare per avere successo nel gioco. In secondo luogo, devono avere chiara visibilità dei possibili scenari: ad es., sapere cosa succede se rispondono in maniera errata o corretta ai quiz o se saltano una domanda per passare alla successiva.

7. Mantieni le regole semplici

Quando si progettano e sviluppano soluzioni gamificate, la tendenza è spesso di aggiungere complessità. Il suggerimento è di evitare tale tendenza. Inoltre, può essere di grande utilità prevedere dei tutorial che mettano i learner nelle condizioni di apprendere le regole di gioco in maniera facile e immediata.

8. Mantieni le leaderboard compatte

A meno che non si abbia a che fare con learner che credano essere i migliori del mondo e desiderino dunque competere con il mondo intero :) , il suggerimento è di mantenere le classifiche circoscritte. L’ideale è dare la possibilità ai learner stessi di selezionare gli amici con cui competere, prevedendo delle leaderboard personalizzati. In alternativa, le classifiche andrebbero strutturate per dipartimento o territorio.

9. Usa livelli e badge in modo appropriato

I livelli vanno utilizzati per guidare l’utente nel percorso lineare di learning, incoraggiandolo a progredire nel gioco per sbloccarne sempre di nuovi. Ciascun livello va legato a specifici obiettivi di apprendimento (generalmente obiettivi a termine). É importante che i giocatori sappiano quali e quanti sono i livelli da completare per terminare il percorso di learning. Molti giocatori sono più interessati al “progresso”, al “controllo totale” del gioco più che alla “vittoria”.

I badges, analogamente, vanno utilizzati per mostrare i progressi non lineari. Al contempo, rappresentano una sorta di premio visivo per l’utente che mostra a se stesso e agli altri il proprio stato di avanzamento nel gioco. Possono essere legati a obietti a termine o sbloccanti.

10. Testa l’experience della gamification

Prima di rilasciare un programma di gamification , poniamo, a 10.000 lavoratori di un azienda, è opportuno testarla su dei gruppi pilota. Il testing è di fondamentale importanza per recepire feedback, critiche e suggerimenti su come migliorarla.

Bonus: Monitora i progressi dei learner

Un vantaggio delle piattaforme gamificate è che esse solitamente raccolgono e rendono disponibili una vasta mole di dati. L’analisi di tali dati è fondamentale per individuare i plus & minus delle logiche e meccaniche implementate e attuare delle misure correttive/evolutive.

 

Queste sono solo alcune delle best practice di una gamification efficace. E tu cosa ne pensi? Ti sei mai trovato a gestire un progetto basato su logiche di gamification? Quali sono a tuo parere le componenti chiave di un’esperienza gamificata di successo?

Nel prossimo post, analizzeremo altri 8 fattori chiave che possono contribuire a migliorare ulteriormente il tasso di engaging di un’esperienza gamificata. Stay tuned! ;)

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Ok Glass – what’s next? http://www.robertonuccio.it/2013/ok-glass-whats-next/ http://www.robertonuccio.it/2013/ok-glass-whats-next/#comments Sat, 20 Apr 2013 19:45:47 +0000 Rob http://www.robertonuccio.it/?p=2229 Nessun articolo correlato. ]]>

Google Glass - apocalyptic vision

“Un computer da indossare, progettato per ridurre le distrazioni, creato per consentire di comunicare e compiere una serie di azioni in modo completamente naturale.”

É trascorso un anno dalla pubblicazione del primo video sul progetto “Google Glass” – gli occhiali in realtà aumentata di Big G – che ne mostrava uno scenario di utilizzo alimentando aspettative e fantasticherie da parte di chi si interrogava e si interroga sugli sbocchi futuri di una tecnologia che pare destinata a rivoluzionare profondamente la human experience.

6 giorni fa, il colosso di Mountain view ha reso pubbliche le specifiche tecniche e messo in vendita la versione Explorer del device, rivolta agli sviluppatori  per la realizzazione di apps dedicate, confermando l’intenzione, già annunciata mesi fa, di un rilascio commerciale entro la fine di quest’anno.

Riprendendo le prime impressioni di chi, come Joshua Topolsky di Verge, ha avuto la possibilità di testarli, una delle prime cose che viene da chiedersi alla vista degli “occhiali intelligenti” è: “chi e per quale motivo vorrebbe indossarli in pubblico”?

Come osserva Mark Wilson, prima di diventare una hit, occorre che il device trovi risposte efficaci a 4 tipi di problematiche:

 

1) Evitare il problema Segway

Se è vero che il flop del Segway è in parte da ricondurre ad una questione di costi, in parte al fatto che la gente si è scoperta essere non così pigra, ma in misura ancora maggiore, ad una sorta di reazione viscerale negativa al “core” del prodotto, allo stesso modo, per evitare che gli smart glass vadano incontro alla stessa sorte, giocherà un ruolo decisivo il design del prodotto. Eleganza ed invisibilità potrebbero in tal senso configurare un approccio efficace. In questa direzione sembrano muoversi i rumors che vociferano di parnership con marchi del calibro di Ray-Ban e Tom Ford, così come l’annuncio recente di una collaborazione con il designer Warby Parker.

2) Il problema dell’”always on”

Le funzioni “bloccate”, saranno decisive per il successo della piattaforma, analogamente a quelle “abilitate”. Trovare il livello perfetto di intrusività in un contesto di connessione perenne, rappresenta forse la più grossa sfida dell’interazione uomo-macchina che l’industria dell’elettronica si trova ad affrontare.

3) Individuare delle killer-apps

Apparentemente i glass non offrono nulla di più in termini di funzionalità rispetto a ciò che che gli attuali smarphone consentono di fare. Di conseguenza, ci si torna a chiedere: “Perché trasformarli in occhiali? La risposta potrebbe risiedere nell’individuazione di killer-apps che ne giustifichino in tal senso una vera e propria adozione di massa.

4) Attenuare il problema dei “troppi feedback” 

La fase in cui project glass si trova ora è quella di “raccolta feedback” nel bacino di community coinvolte nel processo di co-creazione del prodotto. BigG ha messo a disposizione la tecnologia, dal brevetto che consente il controllo di oggetti tramite comando vocale o i sensori Bluetooth e QR Code, lasciando ai singoli sviluppatori e marchi il compito di sfruttarla per realizzare prodotti appetibili e in grado di creare un’alternativa utile allo smartphone, o almeno, una soluzione in grado di dialogarci alla perfezione. Se il crowdsourcing può portare alla realizzazione di grandi prodotti, e nel caso specifico certamente contribuirà al fine tuning del project glass, è anche vero che il compito può divenire assai arduo quando si tratta di creare qualcosa che non è prima stato concettualizzato.

 

A perimetrare il terreno di gioco, ci pensa Google, che ha tracciato un set di 4 guidelines da tenere a mente nel processo di sviluppo delle apps per i suoi smartglass:

 

1) Progettare per Glass

Glass è una piattaforma mobile ma sostanzialmente diversa da qualsiasi piattaforma mobile esistente. Dunque, le applicazioni vanno sviluppate specificamente per Glass, pensando ad una user experience che risulti appropriata per tale device, e su di esso opportunamente testata.

2) Non essere d’intralcio

I glass user si aspettano che la tecnologia sia lì per loro all’occorrenza. In tal senso, le apps devono prevedere notifiche non troppo frequenti o invasive. I controlli dell’informazione occorre siano funzionali a garantire un’experience ottimale.

3) Essere tempestivi

Glass è una piattaforma che si rivela particolarmente efficace quando calata nel contesto del presente e dell’aggiornamento. Il sistema di notifiche real time fornisce dati aggiornati, include funzionalità di delete e storico azioni. Laddove le apps rispondono alle azioni degli utenti su Glass o riflettono dati da Glass, devono farlo in modo tempestivo e atteso.

4) Evitare l’inaspettato

Spiazzare ‘utente con funzionalità inattesa è un difetto per qualsiasi piattaforma, ma in particolar modo lo è per Glass, per via della sua stessa natura così profondamente calata ed immersa nell’esperienza quotidiana. Bisogna essere chiari e trasparenti circa le finalità che un’app, definire cosa fa in nome dell’utente e richiederne un esplicito consenso a farlo.

 

Definite best practise e scenari attesi, le risposte da parte dei developpers non tardano certo ad arrivare.

il New York Times, in occasione del South by South West Festival, ha fornito alcune anticipazioni sull’app che sta sviluppando. Sfruttando il comando vocale, il lettore manifesterà gli arogmenti di proprio interesse e il dispositivo gli restituirà una selezione di notizie. Una pressione sul pulsante esterno del glass darà modo di ascoltare l’articolo per esteso grazie al sistema audio di conduzione ossea. Il tutto integrato con un sistema di alert per le breaking news.

Sul versante social, Twitter, come ha svelato l’investitore della Kleiner Perkins Caufield & Byers John Doerr, sta preparando un’applicazione pensata in maniera specifica per garantire un’ottima esperienza utente con i Glass. Inviare tweet, aggiungere follower e visualizzare i trend topics, il tutto a portata di retina.

Path, rivela un’app che avvisa con una notifica visiva sulle lenti dell’inserimento di una nuova foto e dà la possibilità di reagire con un’emoticon senza l’ausilio dello smartphone. Con Evernote Skitch sarà invece possibile condividere le foto scattate con le lenti stesse.

Rimanendo in casa, Big G svela di aver lavorato a una versione ad hoc di Gmail che prevede alert in caso di email importanti, anticipandone oggetto e mittente. Inoltre, su Google Play è già disponibile l’app MyGlass che mette in connessione smartphone e occhiali ponendo il focus su service come Sms e Gps.

Dalle azioni più comuni come scattare foto, registrare video, fare video-call, gestire mail, visualizzare mappe e percorsi, a quelle che sconfinano nella domotica  – Google ha già depositato un brevetto che descrive una tecnologia in grado di controllare oggetti reali tramite un display virtuale -, la lista dei possibili scenari di utilizzo degli smart-glasses a realtà aumentata si prefigura corposa. Dall’ e-learning, al settore dei trasporti, dal gaming all’health, dal travell al food&beverage, il tutto nell’ottica di un’interazione semplificata, polisensoriale e meno “distratta”.

Al contempo, la questione critica e delicata dell’impatto che gli occhiali ”intelligenti” – percepiti dal mondo dell’high tech come la “next big thing” – avrà sulla privacy, si ripropone con forza.

Quelle che un tempo apparivano profezie visionarie, utopiche o distopiche – a seconda dei punti di vista – oggi sembrano tramutarsi in realtà sempre più vicine, concrete e tangibili.

Il dibattito attorno alla privacy violata, sollevato dal blogger Mark Hurst, prosegue con le osservazioni sul The Guardian e le assertazioni allarmistiche del movimento Stop the Cyborg, che allarma sugli inquieti futuribili scenari di un mondo orwelliano plurimo e frammentato abitato da androidi intenti a spiarsi e monitorarsi a vicenda.

Calandosi in un contesto sci-fi, l’accostamento desgli smart glasses del colosso di Mountain view, ai sun glasses del cult movie del 1989 di John Carpenter, “Essi vivono“, viene spontaneo. Tuttavia se  nel film di Carpenter, gli occhiali indossati consentivano di “svelare” una realtà fatta di messaggi subliminali veicolati da prodotti di uso quotidiano, insegne e cartelloni pubblicitari, qui parrebbe verificarsi l’esatto contrario. D’altronde, l’introduzione di forme di adv che sfruttino a pieno le potenzialità del nuovo dispositivo, sembra un’ipotesi iplausibile per un brand il cui core business, in fin dei conti, risiede nell’advertising.

Come già accaduto per tante altre innovazioni tecnologiche/strumenti di libertà/forme di controllo, a seconda dei punti di (s)vista, l’ingresso del nuovo smart device nel mass-market, probabile che sia ancora una volta solo questione di tempo. Il tempo di abituarsi.

“So, Ok Glass, what’s next?”

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La mia impresa online.it: uno strumento “utile” per le PMI italiane? http://www.robertonuccio.it/2011/la-mia-impresa-online-it-uno-strumento-utile-per-le-pmi-italiane/ http://www.robertonuccio.it/2011/la-mia-impresa-online-it-uno-strumento-utile-per-le-pmi-italiane/#comments Sat, 04 Jun 2011 16:33:29 +0000 Rob http://www.robertonuccio.it/?p=2102 Nessun articolo correlato. ]]>

lamiaimpresaonline.itDa un pò di tempo è disponibile in rete il servizio lamiaimpresaonline.it, progetto nato dalla collaborazione tra Paginegialle.it, Google, Register e Poste italiane, con l’obiettivo di fornire alle PMI italiane, come si legge sul sito, uno strumento semplice e gratuito per supportarle nello sviluppo del loro business su internet.

L’iniziativa ha sin da subito fatto parlare di sè, scatenando accesi dibattiti tra gli addetti ai lavori, web agency e free lance in primis, chiamati ad interrogarsi sull’effettivo o presunto valore aggiunto che un servizio di questo tipo offrirebbe e sulle sue implicazioni per il business on line.

Vediamo dunque quali sono le caratteristiche salienti del servizio e le funzionalità offerte prima di esprimere una valutazione.


OFFERTA
Il sito mette a disposizione un’offerta che include:

  • un dominio, il servizio di hosting e la piattaforma per creare il proprio sito, gratis per il primo anno;
  • un coupon personalizzato del valore di 100€ per fare pubblicità su Google adWords;
  • la possibilità di aprire un negozio online gratis per 3 mesi ed effettuare delle spedizioni gratuite (5 spedizioni pacchi gratuite ai primi 500 utenti).
  • assistenza telefonica e formazione gratuita.

“Alla fine del primo anno di prova gratuito”, come riportato sul sito, “non c’è nessun obbligo di rinnovo. Tuttavia, per chi decide di continuare ad usufruire dei servizi, il costo del dominio, del servizio di hosting e della piattaforma per la gestione del sito ammonterà a massimo 25€ al mese, comprensivo di accesso alle statistiche del sito. Qualora si decida di rinunciare all’accesso alle statistiche, il costo del servizio sarà di massimo 19€ al mese. Per l’e-commerce, alla fine dei primi 3 mesi di attivazione gratuiti, il costo sarà di 67,5€ a trimestre.”


COME FUNZIONA
Il processo di creazione di un sito può essere sintetizzato in 5 step:

1. Scelta Dominio
Va inserito il nome da assegnare al proprio sito web (es. www.miosito.it).

2. Registrazione
Si inseriscono i propri dati e quelli della propria attività/azienda compilando un modulo inclusivo di vari campi, incluso il proprio numero di cellulare italiano.

3. Verifica cellulare
Si riceve un SMS sul proprio cellulare con il PIN di conferma da inserire nello spazio riservato.

4. Conferma
A PIN inserito, si riceve una email di conferma con un pulsante di “Conferma registrazione” che rimanda allo step successivo.

5. Scelta del modello
Si sceglie il modello grafico desiderato da una gamma di modelli messi a disposizione, con la possibilità di filtrarli per categoria.
Si inseriscono i contenuti (testi, immagini, contenuti audio/video) attraverso un apposito pannello di controllo.
Una volta terminato, si clicca sul pulsante “pubblica” per pubblicare il sito on line.

 

FUNZIONALITÀ
Effettuando il login, si accede ad un pannello di controllo da cui è possibile gestire le seguenti funzionalità:

  • Modifica sito
  • Statistiche
  • Dati anagrafici
  • Gestisci le email
  • Cambio modello
  • Crea E-commerce

Modifica sito
Consente di modificare e aggiornare i contenuti del sito. Nello specifico, è possibile:

  • caricare un logo;
  • modificare titolo e testo dei moduli;
  • caricare immagini;
  • caricare video o embeddarli da You tube;
  • inserire title, keyword e description per ogni pagina;
  • inserire un file audio da applicare all’intero sito;
  • aggiungere, rinominare o rimuovere le pagine secondo i limiti definiti dal template;
  • inserire o modificare il CSS di un template;
  • inserire o modificare l’HTML e scegliere dove posizionarlo (Top / Bottom);
  • inserire del codice riguardante statistiche alternative (valide per l’intero sito);
  • visualizzare l’anteprima del sito;
  • pubblicare il sito.

Statistiche
Consente di visualizzare le statistiche in tempo reale sui dati di traffico e di accesso del sito. Il software utilizzato è ShinyStat.

Dati anagrafici
Consente di controllare e aggiornare i dati anagrafici di registrazione o modifica email e password.

Gestisci le email
Consente di creare e gestire sino a 10 caselle di posta o di accedere alla web mail per leggere e inviare messaggi.

Cambio modello
Consente di cambiare il modello grafico tra una gamma di modelli filtrati per categoria. Per ogni modello è possibile selezionare la variante di colore tra quelle disponibili.

Crea E-commerce
La piattaforma e-commerce di Lamiaimpresaonline.it è protetta da connessione cifrata e si integra con i maggiori portali di vendita online mondiali quali Shopping.com, Ciao.it, Kelkoo e Amazon. Poste italiane offre 5 spedizioni pacchi gratuite ai primi 500 utenti che usufruiranno del servizio.
Il processo di autocomposizione guidata dell’e-commerce è strutturato in 4 step. Tutte le impostazioni del progetto possono essere successivamente modificate:

1. Argomento e progettazione
Si seleziona un argomento per il proprio sito da una lista di categorie e sottogategorie predefinita e il modello grafico tra quelli proposti e suggeriti. Il modello può essere successivamener cambiato o modificato agendo su colore, layout, etc…

2. Pagine e contenuto
Si selezionano le pagine, tra quelle consigliate, per iniziare a configurare la struttura del sito.

3. Informazioni di contatto e presentazione
Si inseriscono le informazioni di contatto e di presentazione (nome azienda, slogan sito, info di contatto, indirizzo azienda, lingue del sito, logo).

4. Impostazione del negozio
Si definiscono le impostazioni di base del negozio (modello d’imposta, P.IVA, registro delle imprese).

 

FUNZIONALITÀ E-COMMERCE
Il back office di gestione dell’e-commerce consente di accedere alle seguenti funzioni:

  • Ordini
  • Clienti
  • Prodotti
  • Contenuto / Categorie
  • Sitema prenotazioni
  • Design
  • Marketing
  • Impostazioni
  • Guida
  • Autocomposizione guidata

Ordini
Consente di gestire gli ordini dei clienti, creare documenti come fatture e bolle di accompagnamento.

Clienti
Dà accesso al database dei clienti contenente tutti gli indirizzi e i dati di accesso. Permette di effettuare la ricerca in base a criteri come i gruppi clienti o i volumi di acquisto.

Prodotti
Permette di predisporre i prodotti con testi e immagini per la presentazione e di organizzare le scorte. Il catalogo potrà essere popolato da massimo 2000 prodotti.

Contenuto / Categorie
Consente di organizzare i prodotti in categorie (max 200) e di integrare il sito con i contenuti come novità e prossimi eventi.

Sistema prenotazioni
Permette di gestire il sistema di prenotazioni per i servizi offerti.

Design
Permette di progettare il sito utilizzando modelli predefiniti, perfezionandolo con immagini, colori, elementi di pagina. Supporta funzionalità di progettazione rapida e avanzata.

Marketing
Dà accesso ad una serie di strumenti: newsletter, coupon, raccomandazioni prodotto, richieste di informazioni sui prodotti, google analytics, portali di prodotto, registrazione in google e sitemap in XML, oggetti eBay, punteggio del negozio eKomi, Trusted shops punteggi dei clienti.

Impostazioni
Consente di gestire tutte le impostazioni di base e i metodi del sitema: impostazioni generali, gestione utente, calcolo delle imposte, spedizione e pagamento, impostazioni paese / email / carrello / prodotto / ebay.

Guida
La guida on line fornisce spiegazioni dettagliate e suggerimenti per tutte le funzioni. Include una funzione di ricerca ed è scaricabile in formato PDF. Sono inoltre disponibili esercitazioni video, una guida tematica sul SEO ed un blog utenti con informazioni aggiuntive.


CASE HISTORY
Per darvi un’idea più concreta di cosa stiamo parlando, riporto una lista esemplificativa di alcuni siti scovati in rete che riportano la dicitura “powered by lamiaimpresaonline.it“:

www.granitoartigrafiche.com
www.gruppotreessetre.com
www.comunicaresulweb.com
www.demo-ristorantepizzeria.com
www.agriturismofiore.it
www.consigliperiltuosito.it
www.csbconsulenze.it
www.lovebijoux.it
www.svsmotors.it


VALUTAZIONE
Alla luce di quanto analizzato e visto, proverei a fornire un breve elenco dei punti di forza e di debolezza del servizio e a fornirne una valutazione di massima:

Plus

  • gratuità del servizio per il primo anno di prova
  • coupon di 100 € per google adwords incluso
  • integrazione del servizio e-commerce
  • assitenza telefonica e formazione gratuita
  • semplicità di utilizzo della piattaforma
  • servizio e-commerce flessibile e versatile

Minus

  • limitata possibilità di personalizzare la struttura del sito
  • lmitata possibilità di personalizzare la grafica
  • impossibilità di creare e gestire conenuti dinamici
  • impossibilità di creare versioni multilingua del sito
  • impossibilità di effettuare operazioni direttamente sul server via ftp
  • assenza di collegamenti con i social network
  • costo di mantenimento elevato
  • mancanza di un supporto consulenziale “professionale” per costruire una valida ed efficace strategia di business on line

Come anticipato, l’iniziativa lamiaimpresaonline.it ha suscitato molte polemiche tra gli operatori del settore. L’opinione si divide tra chi vede nel servizio offerto un passo in avanti per l’entrata delle aziende nel panorama web nazionale e internazionale, ipotizzando una sorta di ritorno “indiretto”, e chi invece lamenta la scesa in campo di Google e degli altri player, per ovve ragioni, sottolineando in alcuni casi la natura totalmente fallimentare dell’iniziativa inglese a cui tale progetto si è ispirato: Getting British Business Online.
A mio parere, lamiaimpresaonline.it può esser visto nel complesso come un servizio che offre un prodotto “entry level”: siti vetrina standard e preconfezionati con funzionalità e possibilità di personalizzazione indubbiamente limitate.
Una soluzione a basso costo che potrebbe rispondere alle esigenze di tutte quelle piccole aziende che si affacciano per la prima volta al mercato del business on line, ma certamente distante dagli standard di un servizio professionale qualificato e cucito sulle specifiche esigenze del cliente.

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Social media: come evolveranno nel 2010? Capitolo 2 http://www.robertonuccio.it/2010/social-media-come-evolveranno-nel-2010-capitolo-2/ http://www.robertonuccio.it/2010/social-media-come-evolveranno-nel-2010-capitolo-2/#comments Sat, 13 Mar 2010 10:57:57 +0000 Rob http://www.robertonuccio.it/?p=1928 Articoli correlati:
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socialmedia_evolution_2010_cap 2

















“I mercati sono conversazioni”.

Così recitava la prima delle 95 tesi espresse nel Cluetrain Manifesto, testo rivoluzionario lanciato nel lontano 1999 da un gruppo di comunicatori capeggiati da Rick Levine, consulente di IBM. A distanza di circa un decennio, si può dire che quella sorta di auspicata rivoluzione luterana del linguaggio con cui le aziende comunicano nell’era di internet,  trovi terreno fertile nella crescente diffusione delle strategie di social media marketing.

Nel post precedente ho analizzato alcune previsioni sull’evoluzione dei social media nel 2010 prendendo spunto da un’articolo  di Ravit Lichtemberg e dalle discussioni sul tema che imperversano nella blogosfera in questi ultimi tempi. Proviamo a dare un’altro sguardo col cannocchiale… ;-)  

 

    1. Le aziende contribuiranno a plasmare la nuova forma di ciò che abbiamo chiamato “Social Media”

Va ricordato che la paternità di molti antenati dei social media (forum, intranet e tool di collaborazione) è attribuibile a diverse grandi aziende e istituzioni. Dal momento in cui i social media sono divenuti terreno pubblico, a seguito di un primo cauto ingresso delle aziende in questi territori, si è assistito a un crescente sfruttamento delle potenzialità offerte dai social media e si proseguirà nella direzione di apportare migliorie in termini di monitoraggio, automazione , allineamento con i cicli di vendita e integrazione con sistemi già esistenti. La crescente diffusione di piattaforme di business social sharing come SharePoint, Jive, Bluekiwi, Remindo, Injoos, Chatter, si sposa bene con l’idea secondo cui “New Business is social”.

 

    1. La misurazione del social ROI diverrà una questione fondamentale

Se non molto tempo fa, una delle principali obiezioni che veniva avanzata nei confronti delle strategie di social media marketing faceva appello alla difficoltà di misurare il ROI, già da tempo assistiamo alla proliferazione di tools, proprietari e non solo, che consentono un’analisi sempre più approfondita del social behaviour: facebook insight e la più recente possibilità di integrazione di google analytics con facebook sono solo alcuni esempi. In un interessante post pubblicato su mashable tempo fa, Tim Trefrene descrive 3 dei più importanti sistemi di misurazione di cui si dovrebbe tener conto in una social media analysis: funnel analysis per la misurazione del conversation rate; engagement tracking, ovvero l’analisi del livello di partecipazione e coinvolgimento degli utenti; visitor retention, ovvero la misurazione dei visitatori di ritorno e dunque del livello di stickness (appiccicosità) di un sito.

 

    1. Ci sarà nuovamente bisogno di molte “Old” skills

In una situazione di recessione economica che ha comportato una  graduale presa di coscienza da parte della aziende del forte potenziale insito nei  social media, si è assistito inizialmente a una graduale scomparsa di ruoli di marketing e PR tradizionali. Vi è chi lamenta a tale proposito un’ attribuzione di responsabilità, per progetti condotti sui nuovi canali, a persone “esperte” di social media ma con scarse conoscenza dei principi del marketing classico. La rotta ora sembra invertirsi a favore di un recupero delle competenze dei marketer tradizionali da integrare efficacemente nelle nuove professioni del web partecipativo:  social media manager, social media psichologyst, social media executive administrator,…la lista è lunga.

 

    1. Le donne assumeranno un ruolo da protagonista nei social media

Stando a quanto già riportato da diverse ricerche, il 2009 ha visto le donne  crescere in maniera significativa sul piano delle attività on line. In particolar modo, sul piano dei social media le donne sembrerebbero registrare un tasso di presenza sensibilmente maggiore rispetto agli uomini. A tal proposito, Karin von Abrams, senior analyst di eMarketer, afferma che le donne tendono a utilizzare i social per rinsaldare i propri legami esistenti. La Lichtemberg si spinge oltre, sostenendo che le donne, svincolate dai limiti di vecchi modelli di business gerarchici e sfruttando le loro innate doti comunicative e relazionali, coglieranno le nuove potenzialità offerte dai social media divenendo al contempo segmento di consumatori particolarmente ricercato e guide chiavi per indirizzare le strategie aziendali di social media marketing.

 

    1. I social media si diffonderanno in nuovi settori

Si è già visto come i social media  tenderanno a divenire parte integrante di ogni nostra attività. La logica della collaborazione partecipativa tenderà in maniera sempre più diffusa a caratterizzare nuovi settori: dal no profit al job training, dall’educazione alla salute. Una diretta conseguenza di ciò sarà la necessità crescente per aziende e isituzioni di adottare social media policy che formalizzino tale logica, almeno si spera, in un’ottica di trasparenza. Al contempo, va ricordato che l’importanza crescente della personal reputation decreterà un successo sempre maggiore dell’utilizzo delle stesse piattaforme sociali nel processo di recruiting on line.

 

Conclusioni: i social media tra globale e sociale?

Nel post precedente ho accennato a come l’aumento esponenziale di UGC e il conseguenziale sovraffollamento di informazioni abbia reso necessario il restringimento della ricerca di contenuti all’interno di nicchie,  e dato impulso allo sviluppo della social search. L’eccesso di rumore occulta il segnale, implica l’adozione di strumenti per selezionare e ricercare contenuti che risultino effettivamente rilevanti per noi (tool di ricerca automatica, feed RSS, aggregatori, Twitter list, etc…) e spiega la crescente popolarità di termini come “unfriend” e “disfollow”.  Tuttavia, ipotizzare che a un bisogno di restringimento della ricerca faccia seguito una tendenza opposta che mira ad allargare nuovamente i nostri confini sociali, in un processo continuo di costrizione ed espansione, convergenza e divergenza, ordine e caos, pare tutt’altro che infondato.

Nel frattempo continuiamo ad assistere a una progressiva crescita del numero di aziende che si immergono nel social media marketing. “Si crea così un’ambiente”, afferma Paul Verna, analista senior di eMarketer, “in cui solo il più organizzato può competere”. Con buona probabilità, le azioni di reale successo saranno quelle in grado di passare abilmente dall’acquisizione alla ritenzione di fan, follower, affiliati al brand. L’abilità risiederà nel saper reinvestire le risorse informative acquisite attraverso gli input dei consumattori nella creazione di beni e servizi che abbiano un reale valore aggiunto e che soddisfino pienamente i bisogni espressi.

Concludendo, se si considera che i social media registrano un tasso di crescita esponenziale configurandosi come il numero 1 di attività on line e la più potente fonte d’influenza nelle decisioni di acquisto, e che in tale ottica piattaforme come Twitter paiono destinate a divenire il “battito cardiaco” del pianeta, verrebbe naturale chiedersi: “non ascoltare questi battiti, equivarrebbe realmente a rimanere del tutto sordi?”

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Social media: come evolveranno nel 2010? Capitolo 1 http://www.robertonuccio.it/2010/social-media-come-evolveranno-nel-2010-capitolo-1/ http://www.robertonuccio.it/2010/social-media-come-evolveranno-nel-2010-capitolo-1/#comments Fri, 12 Feb 2010 01:36:45 +0000 Rob http://www.robertonuccio.it/?p=1837 Articoli correlati:
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socialmedia_evolution_2010La crescita e diffusione dei social media pare un fenomeno senza sosta, in continua evoluzione e con significative ripercussioni sulla definizione delle attuali e future strategie di marketing. Se già da tempo risulta evidente come il social networking stia rivoluzionando definitivamente il concetto di on line advertising, social search e web privacy, viene da chiedersi quali saranno gli sviluppi previsti per l’anno a seguire nella sfera dei social media.

Ravit Lichtenberg, fondatrice e chief strategist di Ustrategy.com, ha pubblicato un post in cui indica dieci modi in cui i social media evolveranno nel 2010. Ve ne propongo un’analisi suddivisa in due articoli. A seguire, i primi 5 punti.


  1. I social media diverranno un’esperienza singola, coesiva, radicata nelle nostre attività e tecnologie

  2. Se negli ultimi tempi il web ha funto da palcoscenico principale del social networking, negli anni a seguire,  la possibilità crescente di accedere a contenuti multimediali attraverso qualsiasi tipo di dispositivo (web, mobile,  TV, video, etc…), determinerà il crollo della tradizionale distinzione tra mondo on line e offline, facendo si che l’orientamento al social sharing pervada ogni nostra attività, dal gioco, allo shopping, dall’emailing allo scambio di sms e non solo.

    Contrariamente alle ipotesi che in passato accusavano il web di aver contributo a una radicale decrescimento delle interazioni faccia a faccia, ben presto, con le nuove potenzialità di interconnessione che oltrepassano le vecchie barriere di luogo e tempo innalzate da limiti tecnologici,  si moltiplicheranno le occasioni di incontro nel mondo reale, realizzando una socializzazione di massa ancora più diffusa. Il caso della campagna elettorale di Obama e della protesta elettorale iraniana costituiscono due esempi recenti del forte potere esercitato dai social media nell’alimentare e intensificare azioni di flash mob, temporanei ma efficaci fenomeni di aggregazione collettiva tra persone con interessi, preferenze e cause sociali affini.


  3. Finalmente una reale, significativa e curiosa integrazione tra online e offline

  4. Giochi, avatar e realtà virtuali hanno segnato solo l’inizio di questo processo di integrazione tra i due mondi. Pensiamo al boom delle applicazioni di realtà aumentata. A tal proposito mi vengono in mente le parole di qualcuno che, nel corso del Forum sulla comunicazione digitale 2010 ha ironicamente commentato: “…se la realtà già fa schifo di per sè, che senso ha aumentarla?…” ;-) . Pensiamo ancora a tutte le recenti applicazioni basate sul sistema di geotargettizzazione come twitter360 e foursquare,  così come alla diffusione dei processi di acquisto in cui gli utenti si spostano tra i due livelli di realtà per effettuare valutazioni e pagamenti, fenomeni di cui si prevede una significativa intensificazione nei tempi a seguire. Quest’osservazione ci porta direttamente al punto successivo.


  5. Il mobile acquisirà una dimensione centrale

  6. IDC prevede che gli internauti del mobile saranno circa un bilione entro il 2010. Sempre più utenti utilizzeranno il mobile per condividere contenuti sui social network e ricercare informazioni geotargettizzate, il che si tradurrà in un significativo impulso allo sviluppo del social mobile marketing.


  7. L’innovazione dei social media non sarà più limitata dalla tecnologia

  8. In parallelo con la progressiva scomparsa di piattaforme chiuse e aree di log in e l’apertura di nuovi canali che favoriranno una più libera circolazione dell’informazione in rete, sulla scia di esempi già noti come google friend connectfacebook connect, le aziende tenderanno a intensificare i meccanismi di sfruttamento delle nuove potenzialità offerte dal web in termini di user engagement piuttosto che sviluppare nuove tecnologie autonomamente. Le ricerche sugli utenti, in passato vincolate alla creazi0ne di focus group e test di usabilità, trarranno ora la loro linfa vitale dalle discussioni che si generano sul web attorno a prodotti e servizi offerti. Si proseguirà nella direzione del crowdsourcing e del conversational marketing, promuovendo e incentivando il coinvolgimento attivo degli utenti nei processi produttivi dei brand.


  9. Si intensificherà la battaglia tra aziende e persone per il controllo sui contenuti prodotti

  10. Se il 2009 è da ricordare come l’anno dell’open web, del contenuto sempre accessibile, dovunque e da chiunque,  ora le cose tenderanno a cambiare.

    Le aziende cominceranno ad adottare misure per decidere dove e a che prezzo rendere fruibili i contenuti prodotti. Esemplificativo il caso di Rupert Murdoch che in passato aveva annunciato la possibilità di deindicizzare le news da google per vendere i diritti di esclusiva a Bing.
    Contemporaneamente, la tendenza a valorizzare sempre di più il patrimonio costituito dai nostri profili social, identità inserite all’interno di network che riflettono il nostro personal brand, porterà a un’intensificazione dei servizi mirati a tutelare e salvaguardare la nostra web identity, web privacy e web reputation.

    In aggiunta, con la diffusione esponenziale degli user generated content e l’importanza sempre maggiore attribuita alla ricerca di contenuti rilevanti e affidabili,  gli utenti tenderanno a spostare la loro attenzione dai grandi motori, come Google, MSN, Yahoo! verso ricerche più ristrette e mirate, sfruttando i propri network informativi. L’applicazione Google Social Search che recupera e restituisce informazioni prelevate dai cosiddetti social circle, nasce per l’appunto con l’intento di rispondere a questo bisogno. Probabilmente, come vederemo in seguito, questa tendenza potrebbe dar luogo ad un fenomeno di risposta totalmente opposto.

Fenomeni già esplosi nel corso del 2009, paiono dunque destinati a divenire ancora più significativi in un futuro già in atto. Stando alle parole del social media strategist Jason Falls, “se il 2009 ha riguardato la comprensione dei social media, il 2010 riguarderà il come utilizzarli al meglio”. Nel prossimo articolo parlerò degli altri modi in cui si prevede che evolveranno i social media nel 2010. Nel frattempo, cosa ne pensate di quanto sin’ora ipotizzato? Siete d’accordo o prevedete scenari differenti?

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Le future tendenze del marketing nel 2009: i 9 punti di Leo Burnett http://www.robertonuccio.it/2009/le-future-tendenze-del-marketing-nel-2009-i-9-punti-di-leo-burnett/ http://www.robertonuccio.it/2009/le-future-tendenze-del-marketing-nel-2009-i-9-punti-di-leo-burnett/#comments Tue, 28 Jul 2009 16:02:37 +0000 Rob http://www.robertonuccio.it/?p=1517 Articoli correlati:
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Clicca qui per vedere il video incorporato.

I brand del futuro saranno veicoli e non soltanto destinazioni

Questa la frase conclusiva del video realizzato dal gruppo Leo Burnett, che sintetizza efficacemente il suo punto di vista  sulle future tendenze del marketing nel 2009. Nel video vengono esposti e descritti 9 fattori cruciali che il gruppo ritiene  definiranno i nuovi trend emergenti del marketing, in linea con le mutate condizioni socio-economico-culturali della società postmoderna.

Proviamo a farne un’analisi:

  1. Nuovo realismo

  2. Le condizioni del nuovo assetto economico influenzeranno profondamente il contesto culturale. A seguito di una progressiva espansione della tendenza diffusa alla spettaccolarizzazione emotiva, si assisterà gradualmente all’avvento di una fase molto più concreta, sociale e creativa.

    Si potrebbe parlare di un nuovo rinascimento caratterizzato da una cultura sempre più tangibile ed onesta,  e da un approccio alla vita molto più realistico. Si comincierà a dare importanza a ciò che realmente ha un significato per noi e si tenderà a privilegiare modalità espressive e relazioni di tipo confidenziale, incoraggiante, conesso, onesto e innovativo. Allo stesso modo, per avere successo, le aziende dovranno propendere verso un’approccio di questo tipo nel relazionarsi col proprio target.

  3. Iper-realtà

  4. Il ritmo del cambiamento è aumentato a livello esponenziale. Le maggiori evoluzioni avvengono alla velocità della luce. Gli status quo cambiano repentinamente con delle ripercussioni che si producono in tempo reale. Spesso la velocità del cambiamento è tale da risultare incompatibile con la capacità di adattamento delle persone, che quasi non riescono a stare al passo coi tempi.

    A sopravvivere in un ambiente che muta così velocemente, saranno i brand che meglio riusciranno ad anticipare, di volta in volta, i cambiamenti posti in essere e ad adattarsi alle mutate condizioni prodotte.

  5. Trust economy

  6. La fiducia è destinata a divenire il fattore critico di successo per i brand nel 2009. In tempi di crisi, guardiamo alle aziende che condividono le nostre preoccupazioni, gestiscono l’ansia e prendono iniziativa. I supermarket oggi conquistano più fiducia rispetto alle banche, e le organizzazioni che si impegneranno maggiormente a soddisfare i bisogni delle persone, andando ben oltre le loro stesse aspettative, avranno la meglio.

    Per citare un caso esemplificativo, si pensi all’iniziativa promossa dal supermarklet britannico Tesco che prevede l’apertura di filiali bancarie e conti correnti entro la fine dell’anno.

  7. Eco austerity

  8. La recessione sta esercitando un’influenza crescente sulla questione ambientale,  traformandola da esclusiva questione morale in vera e propia questione economica.  È innegabile che in parecchi settori la produzione di beni e servizi eco-sostenibili determini un notevole risparmio di energie e costi. Il risultato è che diverrà sempre più conveniente orientarsi verso produzioni di questo tipo, sia in termini di risparmio economico che di salvaguardia ambientale.

    Anche in questo caso gli esempi non mancano. Si pensi alle iniziative di green marketing promosse da Eni e Coca Cola votate a promuovere risparmio energetico, sostenibilità ambientale, salute della persona e della comunità, come pure alle vetture ecologiche su cui le grandi case automobilistiche tendono a puntare sempre di più.

  9. Tv digitale

  10. Nell’anno corrente la qualità delle trasmissioni broadcast via web Tv migliorerà enormemente. Se già nel 2008 si è verificato un allargamento del bacino di utenza dei canali televisivi su Internet e una crescita della percentuale di acquisto dei domini “.tv”, nel 2009 le web Tv sono destinate ad inserisi a pieno tiotlo nel mainstream dei nuovi media.

    A favorire questa tendenza, una richiesta sempre crescente di user generated content da parte di un’utenza più vasta, targettizzata e meno generalista, che trascorre più tempo su internet e che punta alla qualità dell’informazione.

  11. Thread marketing

  12. Nel futuro i contenuti sarranno liberi da un controllo centrale e adattabili su più network. Idee, loghi o estratti di codice, costituiranno il filo per tenere assieme i contenuti.

    Se già da tempo molte pubblicità tendono a promuovere le URL, ora vedremo pubblicità alle stazioni dell’autobus che linkano a desktop widget, o promozioni che rimandano ai filmati aziendali e così via. Negli anni a venire la tendenza sarà quella di rendere contenuti multimediali disponibili praticamente ovunque, qualunque sia il contesto culturale nel quale ci si troverà immersi.

  13. Game generation

  14. Con la diffusione massiva della cultura dei videogiochi si è assisito a quello che qualcuno ha definito “la nascita dell’homo game“. Da una cospicua fascia di adolescenti attratti dalla logica del reincanto propria del fenomeno videoludico, si è passati a un’intera game generation interclasse che trova nel gioco non soltanto una forma di intrattenimento, ma un modo per interagire, relazionarsi e accrescere le proprie capacità mentali.

    Ad alimentarla, le crescenti pressioni economiche che ci spingono verso una dimensione, per così dire, casalinga e salottiera, ma al contempo sociale del gioco. Non stupisce, in tal senso, che il settore dei videogiochi sia tra i pochi ad essere risultato immune alla crisi e a registrare, invece, tassi di crescita esponenziali. Le sue potenzialità sono state solo in parte esplorate. Basti pensare al fenomeno degli advergame o alla promozione di Obama nel gioco Burnout per Xbox 360. Il futuro riserverà ancora molte sorprese!

  15. La fine del fatto

  16. Il pluralismo dell’informazione generato dalla rete, per sua stessa natura spazio di condivisione e libera circolazione di notizie, idee e pareri, la possibilità di accedere e selezionare più fonti informative, nonchè di passsare dal ruolo di fruitori passivi a quello di generatori di contenuti, ha prodotto un fenomeno significativo. Pareri differenti e soluzioni contraddittorie vengono presentate come definitive. Cercando su google “vino e cancro” si trovano racconti di esperienze che attribuiscono al vino contraddittoriamente funzioni causali o curative.

    Se la linea di demarcazione tra verità e opinione tende ad assottigliarsi, gli informivori tederanno sempre più a scegliere accuratamente ciò che per loro costituisce un fatto, alla pari di ipocondriaci che consultano manuali medici. In tale ottica la brand autorithy diverrà un fattore principale di competitività. Tanto maggiore sarà la fiducia riposta nel brand, quanto maggiore sarà la capacità di quest’ultimo di distanziarsi da un’approccio fazioso e unilaterale alla narrazione dei fatti, privilegiando, di contro, l’obiettività e l’imparzialità.

  17. I brand sono veicoli

  18. In passato la tendenza era di considerare i brand come punti di arrivo, punti di atterraggio. I consumatori seguivano i propri bisogni e finivano per  inseguire un brand. La nuova logica è invece quella che identifica i brand non più come destinazioni ma come veicoli. Il successo dei due colossi Google e Youtube, è stato costruito proprio sulla base di tali principi. Gli internauti non esauriscono il loro viaggio sui motori di ricerca, al contrario, tali “non luoghi” sono dei punti di partenza e di transizione verso nuovi orizzonti e mete da esplorare.

    Iniziative come quella di Mc-Donald per l’installazione di reti Wi-Fi gratuite nei propri store, o del Concert in banner promossa dalla banca belga Axion, o ancora, la partership  stipulata tra la band dei Groove Armada con Bacardi, sono solo alcuni esempi di attuazione di questa nuova strategia. I brand statici sono ormai in via di estinzione. Le probabilità di successo dei marchi dipenderanno in larga misura dalla loro capacità di trasformarsi da fine in mezzo per la produzione e diffusione di iniziative in linea con i bisogni emergenti di una clientela sempre più attiva e partecipativa.

Queste, dunque, le future tendenze del marketing già emerse nel corso del 2009 e che paiono destinate, con buona probabilità, a manifestarsi in maniera ancor più significativa anche negli anni a seguire. Voi cosa ne pensate?

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Totem e tribù – il lato oscuro delle brand community – Episodio II http://www.robertonuccio.it/2009/totem-e-tribu-il-lato-oscuro-delle-brand-community-episodio-2/ http://www.robertonuccio.it/2009/totem-e-tribu-il-lato-oscuro-delle-brand-community-episodio-2/#comments Tue, 16 Jun 2009 08:39:34 +0000 Rob http://www.robertonuccio.it/?p=1455 Articoli correlati:
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brand community_dark sideFar luce su quelli che diversi studiosi chiamano il “lato oscuro delle brand community” vuol dire analizzare due aspetti dello stesso fenomeno:

  • il ruolo attivo che i seguaci di un marchio assumono nella costruzione della brand identity nel momento in cui arrivano a stravolgere i brand values, o addirittura a sostituirli e ad opporsi ad essi (la tribù che si ribella al Totem).
  • il conflitto tra commmunity rivali che si riflette nell’adozione di comportamenti oppositivi da parte dei membri/competitor (trash talk e shadeunfrede), tematica affrontata da diversi studi passati, tra cui un’accurata ricerca sociologica americana (le tribù che si scontrano).

In riferimento al primo punto, Bernard Cova, docente di marketing all’Euromed di Marsiglia, pone l’accento su come il ruolo attivo dei membri di una brand community nella produzione di valori e servizi  determini un notevole abbasamento dei costi di ricerca. Tuttavia, lo sforzo pare non venga adeguatamente ricompensato. La fidelizzazione dei membri passa unicamente attraverso azioni simboliche basate su condivisione di informazioni, donazione di gadget e premium price. L’assenza di reali vantaggi per i membri della brand community, spesso finisce per generare una percezione di sfruttamento.

Ciò alimenterebbe l’insorgenza di alcuni fenomeni. Pensate alle tribù saccheggiatrici di Star Trek ed Harry Potter, attive nella diffusione di episodi apocrifi e racconti non originali; ai diversi episodi di hijacking come nel caso della birra Pabst, assurta dai suoi membri a simbolo anti-global e antibush; o ancora al boom del couchsurfing, il sistema di ospitalità gratuita basato sul meccanismo dello scambio casa che bypassa il ruolo delle agenzie instaurando un nuovo modello di turismo.

In relazione al secondo aspetto, cercherò di sintetizzare i punti salienti di un interessante studio condotto da due ricercatori americani, Thomas Hickman e James Ward, intitolato “The Dark Side of Brand Community: Inter-Group Stereotyping, Trash Talk, and Schadenfreude“. La ricerca segue il filone di studi passati che già avevano messo in luce il concetto di oppositional brand loyalty, ossia di come i membri di una community tendano a vedere se stessi non solo in termini di “chi sono” ma anche di “chi non sono”, generando un senso del “noi contro loro”. Condotta nel 2008, ma attualissima per la validità dei risultati cui approda, la ricerca analizza la stretta relazione esistente tra il senso di appartenenza e fedeltà al brand da parte dei membri di una community e la stereotipizzazione negativa adottata nei confronti dei sostenitori di community antagoniste. La rivalità si esprimerebbe attraverso azioni di trash talk e  shadeunfrede.

Per trash talk si intende una comunicazione negativa nei confronti di un brand rivale, innescata non da un’esperienza passata insoddisfacente con il brand (come avviene nel negative word of mouth), bensì da un senso di rivalità tra community.

Con il termine tedesco shadeunfrede, ci si riferisce in questo contesto alla sensazione di piacere provata in risposta alle sventure di membri appartenenti a community rivali.

Analizzando il comportamento di due coppie di brand community opposte (utilizzatori di Mac vs. Pc e due footbal fan club universitari), lo studio arriva a confermare le ipotesi di partenza, ovvero che:

  • coloro che nutrono un maggiore senso di appartenenza alla community, tenderanno a sviluppare una brand image più positiva, considerando i propri membri più competenti e caldi rispetto a quelli del brand rivale (è noto come gli utenti Mac tendano a considerarsi più creativi rispetto agli utenti Pc).
  • chi ha una visione più pregiudiziale della propria brand image rispetto a quella rivale, sarà maggiormente propenso al trash talk.
  • i membri più propensi al trash talk intra-gruppo nei confronti del brand rivale, adotteranno azioni di negative word of mouth rivolgendosi anche  a membri esterni alla propria community.
  • chi sperimenta un maggiore livello di trash talk, sperimenta anche un maggiore livello di shaudenfrede.

Alla luce di quanto detto, si può sostenere che una valida strategia di community building debba essere orientata a garantire vantaggi concreti per i propri membri in modo da rafforzare il senso di loyalty verso il brand. Conseguentemente, un senso di appartenenza maggiore verso la brand community porterà i suoi membri a sviluppare un’immagine del brand più positiva e si associerà con maggiore probabilità ad azioni tese a indebolire quella dei propri competitor.

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Totem e tribù – genesi e strategie delle brand community – Episodio I http://www.robertonuccio.it/2009/totem-e-tribu-genesi-e-strategie-delle-brand-community-episodio-1/ http://www.robertonuccio.it/2009/totem-e-tribu-genesi-e-strategie-delle-brand-community-episodio-1/#comments Wed, 20 May 2009 13:01:28 +0000 Rob http://www.robertonuccio.it/?p=1370 Articoli correlati:
  1. Totem e tribù – il lato oscuro delle brand community – Episodio II
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building-communityCome e perché nascono le brand community ? Chi ne fa parte? Che bisogni esprimono? In che modo i brand possono servirsene al meglio? Quando rappresentano una minaccia?

Il web, per sua stessa natura, si presta ad essere terreno fertile per la nascita di quelle che Bernard Cova chiama neotribù “un insieme di individui non necessariamente omogeneo (in termini di caratteristiche sociali obiettive), ma interrelato da un’unica soggettività, una pulsione affettiva o un ethos in comune”.

Il neotribalismo della società postmoderna va visto come una naturale risposta di aggregazione sociale ad un  radicale e progressivo decadimento delle forme di organizzazione tradizionali (partiti e chiesa in primis) e alla situazione anomica, ovvero di  assenza valoriale che ne è scaturita. Le nuove comunità catalizzano ed esprimono un bisogno di socialità empatica, di risposta a una forma di razionalizzazione estrema della conoscenza, si formano per la naturale o indotta convergenza di persone che avvertono l’esigenza di condividere passioni comuni, relazionarsi e dialogare, sentirsi parte attiva nella costruzione delle stesse.

Ciò che differenzia le web community dalle comunità tradizionali è il fatto di avere una natura aperta, fluida, trasversale, volatile ed effimera. I membri possono registrarsi contemporaneamente a più comunità, entrare ed uscirne quando vogliono. Identità plurime e frammentate che difficilmente si prestano a operazioni di targettizzazione basate sulle tradizionali categorie sociologiche.

In un contesto del genere, il brand è chiamato a svolgere una funzione totemica, religiosa, nel senso etimologico del termine di religare, collegare, unire, tenere assieme. Quali, dunque, le strategie di community building che un brand intenzionato a rafforzare il rapporto di vicinanza con i consumatori deve adottare? Dave Balte, fondatore e CEO di BzzAgent,  media agency di Boston specializzata in buzz marketing, ne suggerisce alcuni che possono essere così sintetizzati:

  • focalizzarsi sui bisogni dei consumatori: chiedersi “Perché i consumatori formerebbero una comunity attorno al proprio brand?” Da qui la necessità di non limitarsi a totemizzare la comunità attorno ad un unico prodotto, ma di sensibilizzare gli adepti alla condivisione di esperienze, bisogni e brand values.
  • interagire con i membri: il brand non dev’essere osservatore esterno e distaccato, ma parte attiva del dialogo. Può, ad esempio, fornire anticipazioni sui prodotti di prossima uscita, ascoltare pareri e suggerimenti in un’ottica di trasparenza e limitarsi a moderare su  questioni di natura etica e legale. In passato c’era già chi, come Philippe Breton, ispirandosi al paradigma della cibernetica, teorizzava l’avvento di una nuova società trasparente in risposta ai fallimenti ideologici del secolo scorso e alle tendenze entropiche scaturitene.
  • promuovere una comunicazione orizzontale: favorire il diaologo più che tra il brand e i suoi seguaci, tra i membri stessi della community, che usciti dal ruolo di ascoltatori passivi, tendono a divenire prosumer, consum-attori che dialogano, confrontano esperienze  e opinioni, attori partecipi all’elaborazione del significato da veicolare, in piena logica crowdsourcing, e talvolta, suoi stessi manipolatori. Un tam tam mediatico di user generated content che si diffonde viralmente sfruttando il meccansimo di rimbalzo della rete, arrivando a comunicare anche con comunità esterne, nicchie sparse nella rete, altri microcosmi di una costellazione neotribale.

Andando a scrutare all’interno di comunità già esistenti, o creandone di nuove, l’azione di community building avrà tanto più successo quanto maggiore sarà la capacità del brand di promuovere un sistema valoriale, indurre un bisogno di partecipazione attiva e condivisione, attribuire un valore aggiunto al prodotto.

Gli esempi non mancano. Si pensi alla community di Ferrero, sviluppata attorno ai valori dell’aggregazione familiare e dell alimentazione sana, o al social network REZO, progetto promosso dalle ferrovie francesi e indirizzato prevalentemente ai giovani, che fa leva sul bisogno e l’opportunità di utilizzare il viaggio come occasione per fare conoscenza, momento di scambio e condivisione di informazioni utili. Altri casi esemplari sono le community di Nutella, Lavazza, Il Mulino che vorrei, valido esempio, quest’ultimo, di un coinvolgimento attivo dei membri invitati a esprimere i loro suggerimenti su migliorie da apportare ai prodotti e nuove iniziative da lanciare, in piena logica UGC, sino ad arrivare alle community di Fiat 500 e Ducati che, tra i vari servizi offerti, consentono ai propri iscritti di costruire delle proprie pagine personalizzate simili a blog.

Emerge chiaramente come l’incremento della brand awarness passi necessariamente attraverso un coinvolgimento attivo dei propri sostenitori, evangelisti del brand che contribuiscono significativamente a conferirne credibilità o, all’opposto, a stravolgerne il significato e ad opporsi ad esso. La domanda successiva che viene da porsi è dunque: ” Cosa accade nel momento in cui la tribù si oppone al totem ?” La risposta nel prossimo post.

The saga continues…

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Carousel – il video viral per la nuova TV Philips Cinema 21:9 http://www.robertonuccio.it/2009/carousel-il-video-viral-per-la-nuova-tv-philips-cinema-219/ http://www.robertonuccio.it/2009/carousel-il-video-viral-per-la-nuova-tv-philips-cinema-219/#comments Sat, 25 Apr 2009 11:32:50 +0000 Rob http://www.robertonuccio.it/?p=1273 Nessun articolo correlato. ]]>

Clicca qui per vedere il video incorporato.

Sul sito viralvideochart si piazza al secondo posto nella classifica dei video virali di maggiore successo del momento. Si tratta del Philips Carousel Commercial, un vero e proprio short movie in 3D realizzato dall’agenzia olandese Tribal DDB, in collaborazione con Stink Digital, per celebrare l’arrivo imminente del nuovo Cinema 21:9 LCD TV di Philips.

Come si evince dal nome, la particolarità di questa nuova Tv sta, anzitutto, nel particolare formato 21:9 che riproduce fedelmente le proporzioni cinematografiche. A ciò si aggiunge un sistema di retroilluminazione Ambilight  e una qualità d’immagine estremamente elevata, che promettono di ricreare a casa le condizioni ideali per vivere una vera e propria esperienza cinematografica.

Il filmato, diretto dal regista Adam Berg sulle note musicali di Michael Fakesch, è completamente girato utilizzando la tecnica del freeze frame. 2 minuti e 19 secondi di primo piano continuo che immergono lo spettatore all’interno di un suggestivo ambiente tridimensionale “congelato nel tempo”. La sequenza epica ripresa è quella di una sparatoria che vede coinvolti poliziotti e clown sospesi in uno scenario fatto di esplosioni, traiettorie di proiettili e schegge di vetri infranti. Il film, concepito come una sorta di loop infinito, si apre e si chiude con l’inquadratura di un poliziotto (impersonato da Al Pacino), che si coprirà essere, in realtà, un clown travestito.

Punto di forza della campagna promozionale è stato quello di ospitare il filmato all’interno di un sito, appositamente creato per invitare lo spettatore a conoscere e sperimentare online, le nuove peculiari funzonalità della TV. Da qui, l’utente ha la possibilità di vivere un coinvolgimento cinematografico interattivo, attraverso una serie di comandi che permettono di  accedere a una serie di contenuti aggiuntivi. Si ha modo di esplorare il backstage del film e ascoltare il regista discutere sulle proporzioni cinematografiche, il direttore della fotografia sottolineare l’importanza della gestione delle luci e il supervisore degli effetti speciali evidenziare la rilevanza della qualità dell’immagine nella realizzazione filmica. In qualsiasi moment0, l’utente può comparare il formato 21:9 con il 16:9, attivare e disattivare il sistema Ambilight e muoversi avanti e indietro all’interno del filmato, soffermandosi su ogni singolo frame per visualizzarne i dettagli.

Come afferma Chris Baylis, Direttore Creativo per Philips della Tribal DDB di Amsterdam, “La sfida era di creare una vera esperienza cinematografica online. Proporre un normale film, non avrebbe funzionato, dovevamo creare un evento interattivo che consentisse di vivere un’esperienza cinematografica su un sito eccezionale.”

L’effetto virale della campagna è stato ottenuto attraverso la diffusione in rete del trailer, che invogliava i navigatori a visitare il minisito per guardare il video in alta definizione e vivere un’esperienza cinematografica unica.


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